20 settembre 2015

Pizze a domicilio

Maddalena non riusciva a digerire il fatto che questo tipo, questo amico di Claudio e Meri, questo Walter, con cui sarebbe uscita sabato, portasse davvero le pizze a domicilio.
Con Meri si vedevano dai tempi della scuola d’arte e da allora avevano fatto coppia fissa negli intervalli temporali che avevano attraversato senza un ragazzo. Maddalena conosceva tutto di Meri. Sapeva da quale dito dei piedi iniziava a smaltarsi le unghie – l’alluce del piede destro – sapeva in che posizione amava dormire – semifetale rivolta a destra – sapeva come impugnava la penna – con il medio esageratamente ingobbito – e che scriveva solo e soltanto di blu. Maddalena sapeva anche il nome del cachet che aveva più efficacia sull’amica, anche se erano trascorsi anni dall’ultima volta che gliene aveva visto prendere uno. Sapeva che cosa pensava delle ragazze tutte casa e chiesa, ma soprattutto, sapeva cosa pensava dei maschi grassi e di quelli smilzi, dei capelloni e dei rapati a zero, degli intellettualoidi e dei simpaticoni: poteva pescare tra mille ragazzi e, in un battibaleno, capire quello che avrebbe scelto Meri. Sapeva per certo che, anche lei per Meri, era una sorta di libro aperto e perciò, adesso, si chiedeva inorridita perché Meri, in combutta con il suo fidanzato Claudio, le volesse in qualche modo propinare questo Walter portatore di pizze a domicilio e di Dio sa cos’altro.
Si erano viste quella mattina verso le undici, nell’intervallo caffè. Lavoravano entrambe in centro, Meri si era sistemata come commessa in un negozio di abbigliamento e Maddalena si era infiltrata in uno studio legale archiviando – peraltro con una certa grazia – quelle tre o quattro pratiche al giorno.
“È uno ganzo” le aveva detto Meri intendendo Walter. “Intendo Walter” proseguì, sgranando gli occhi verso Maddalena.
“E’ un amico di Claudio, si sono conosciuti in palestra. Ha anche un bel fisico!”
Già qui, la buona vecchia Maddalena, ebbe il primo sussulto. Quando mai, in tutta la sua benedetta vita – si chiese –  si era perduta nell’ammirazione vacua di un bicipite o di qualche tavoletta scolpita di addominali? Quando mai si era profusa in apprezzamenti al maschio virile e zeppo di muscoli, piuttosto che alla sua testa, al suo comportamento o al suo charme?
Come poteva, adesso Meri, candida candida, tratteggiarle questo bel fisico palestrato senza il rischio di essere mandata a quel paese? Beh, l’aveva appena fatto!
“E cosa fa?” chiese sospirando Maddalena a Meri, quando questa tornò dalla cassa del bar con lo scontrino. E Maddalena doveva avere una faccia schifata o parecchio dubbiosa, tant’è che Meri si sentì in dovere di fornire delle spiegazioni di dettaglio.
“Cosa fa? Non mi ricordo… due caffè, grazie… va in palestra, no? E poi studia architettura o roba simile. Un cervellone, davvero! Claudio dice che è uno in gamba. Anche con la testa, è a posto. Per chi mi hai preso? Non ti farei certo conoscere uno sfigato da quattro soldi”.
Si bevvero il caffè, dopo che Maddalena aveva versato lo zucchero in tutte e due le tazzine, per Meri il solito cucchiaino e un po’.
Meri proseguì: “E’ uno che si fa il mazzo all’università e poi lavora pure, sai… per pagarsi gli studi. Porta le pizze a domicilio, mi pare”.
Tutto qua. Si erano lasciate all’angolo. Non c’erano state altre succose anticipazioni, né per telefono né a voce. Solo un gran rimuginare, da parte di Maddalena.
Porta le pizze a domicilio, mi pare. Cavolo, non erano passati dieci minuti, che già tutte le sue aspettative si erano aggrumate intorno a quel mi pare. Magari Meri sbagliava. Non che fosse così affidabile nel ricordarsi quello che faceva la gente, anzi, c’era portata com’era portata al cricket.
E non era certo per un problema di memoria. Quello che faceva la gente non le interessava e lei ascoltava con superficialità, se ascoltava. D’accordo che potevi vederla dondolare rassicurante la testa in su e in giù, ma era squisita apparenza: non si rammentava poi di un fico secco. Ci fosse stata a scuola una materia tipo la Quellochefalagentologia, scontato che Meri avrebbe dovuto pagarsi le sue belle ripetizioni per essere promossa a giugno.
Non che Meri potesse confondere uno che porta le pizze a domicilio con quello che si presenta a casa tua munito dell’attrezzatura per sterilizzarti il soggiorno, o con quello che gira con le valigie stipate di pentole e tegami e ti viene a lessare le verdure senz’acqua, questo no – del resto Maddalena non si sarebbe volentieri contaminata neppure con questi figuri – semplicemente, poteva aver fatto confusione con un altro amico del quale Claudio le aveva magari parlato, Dio sa in quale altro momento, ma che non avesse nulla da spartire con Walter: il predestinato del prossimo sabato. D’altra parte, le palestre sono piene di laureandi in architettura che tra una serie alla panca e un giro sulla cyclette, si svagano portando migliaia di pizze di qua e di là.
O forse Walter aveva solo portato delle pizze a domicilio. In passato, e magari solo qualcuna! Questo, era logico, prima di accorgersi dell’errore e ripiegare su un lavoro meno… meno… non sapeva neppure lei esattamente meno che cosa. Di certo c’era un dannato aggettivo, nascosto in una dannata pagina di un dannatissimo dizionario, che potevi abbinare a quel meno. Un aggettivo che rendesse l’idea di quanto non le piacesse dover uscire, scambiare delle smancerie, sfoderare finti sorrisi, stringere mani o baciare guance, buttare là dei come ti va la vita? o dei l’hai sentito l’ultimo dei Green Day?, con un tizio che, nel tempo libero, amava andarsene in giro, con un motorino color evidenziatore e con una casacca in tinta, a scarrozzare delle capricciose per la città.
Per dirla tutta non avrebbe digerito di farsi vedere in giro con nessuno che portasse della roba a domicilio, fosse pure il tesoro della corona.
Seppure inizialmente non ci sperasse molto, che Meri avesse preso un granchio e tutto il resto, Maddalena andò via via convincendosi che Walter potesse aver portato qualche pizza a domicilio in un’altra era geologica. D’altra parte, anche stando così le cose, non era una prospettiva entusiasmante passare la serata del sabato in compagnia di uno che aveva portato pizze a domicilio. Anche se era preferibile – seppure di qualche micron – al deprimente sabato sera davanti alla tivù a sorbirsi le mielose performance di mal assortite coppiettine danzanti.
Sabato passarono a prendere Maddalena per ultima e, tutti in macchina di Claudio, attraversarono la città per andare al McNamara Irish Pub: un vero pub, gestito da un vero irlandese, nella vera periferia nord.
“E’ un ambiente carino. Sembra uno di quei pub di Dublino che si vedono nei film. C’è quasi sempre musica dal vivo e servono una birra speciale!” disse Walter, che aveva proposto il locale.
“Ottimo” disse Maddalena, che amava la birra quanto accarezzare una mezza dozzina di gatti rognosi.
Durante il tragitto l’atmosfera non si sciolse. Per lo più, gli altri tre ascoltarono Claudio che, essendo allergico ai silenzi più lunghi di qualche secondo, riusciva a disquisire su tutto. Principalmente parlò – prendendo spunto da un tipo che gli aveva mezzo tagliato la strada – a proposito di quei cretini che, siccome hanno messo la freccia, si sentono in diritto di farti di tutto: tipo cambiare corsia due metri davanti a te, tipo zigzagare per dei chilometri, tipo spiaccicarti su un paracarro in autostrada. “Capaci che, siccome hanno messo la freccia, si sentano in diritto anche di trombarti la nonna!”.
Il locale, bisogna dirlo, era carino, con luci soffuse sull’arancione e un bell’arredamento in legno massello. Un complesso di cinque giovanotti in jeans e maglietta bianca che ricordavano, piuttosto che una band di Dublino, il primo Miguel Bosé - quello di Super Superman per intenderci - si impegnava nel riproporre una filza di balordi e datati successi: un misto di rock a basso lignaggio e disco music. Dal nome, scolorito nella prima lettera, sulla grancassa, potevano forse essere i Tired Crew, o forse i Wired Crew, o magari i Fired Crew o comunque: i qualche-altra-cosa Crew. Se non dovevi proprio fare un talk-show e non pretendevi di comprendere ogni spiccicata parola dei tuoi compagni di bevuta, beh… era un posto ideale.
Claudio dava le spalle alla band, almeno in origine, ma se ne stava, praticamente fisso, a guardarli suonare avvitato sulla sua sedia.
“Forti, eh?” ripeteva ad intervalli regolari, praticamente ad ogni pezzo. Non di rado, li accompagnava persino con la sua immaginaria batteria.
“Ti piace la musica anni settanta?” chiese Walter a Maddalena, cercando di allentare la tensione dell’appuntamento al buio.
“Come?” disse lei. “Non sento, con questi che fanno casino…”.
“Ah, niente niente…” disse Walter, accompagnando il commento con un gesto della mano dall’alto verso il basso che voleva significare non è importante, ma che Maddalena interpretò come lascia fare, non puoi capire.
In effetti, se vi capita di portare delle pizze a domicilio, se l’avete fatto in passato o se qualcuno pensa che l’abbiate fatto e, dentro un pub dove fanno musica dal vivo a un milione di decibel, dovete dare una spiegazione ad una ragazza che odia la birra, forse è meglio che evitiate di accompagnare le vostre parole con un qualsiasi gesto della mano. Aggrappatevi al vostro boccale di birra, cacciatevi entrambe le vostre fottute mani in tasca o, al limite – non devo dirvi tutto io – accompagnate i quel-che-sono Crew con una bella batteria immaginaria; ma non fate gesti che si possano equivocare, per carità!
“Come, niente niente? Che dicevi?” chiese Maddalena, tra il seccato e il morboso.
“Nulla. Ti chiedevo soltanto se ti piace la musica anni settanta?” disse Walter, facendo un altro gesto con la mano ad indicare lì attorno. Era un professionista del gesticolare, a quanto pareva.
“Sarebbe questa?” chiese Maddalena, urlando di proposito per manifestare una certa disapprovazione.
Claudio era sempre voltato verso il piccolo palco e ondulava ritmicamente la testa accompagnando in quel momento gli emuli dei Santa Esmeralda che pregavano la loro Baby di non lasciare – per favore – che li fraintendesse.
Walter si limitò ad assentire, inarcando le sopracciglia: probabilmente era quella la musica anni settanta.
E Maddalena avrebbe anche potuto dire che le piaceva e che nella sua cameretta si erano succeduti i poster dei Boney M., quello di Donna Summer e quello di Patrick Hernandez – anche se non era vero vero, aveva solo comprato alcuni dei loro quarantacinque giri – ma prima c’era da chiarire la faccenda delle pizze a domicilio.
“Non ci perdo la testa” disse Maddalena, atteggiandosi un po’. Si riferiva alla musica anni settanta. O a quello che era.
Meri fingeva indifferenza e pareva immersa nell’ascolto dell’esibizione dei quel-che-cavolo-fossero  Crew, ma in realtà non mollava una sillaba del dialogo Maddalena - Walter.
Non ci perdo la testa, era un intercalare abbastanza tipico per Maddalena. Era un suo limite, poverina: non riusciva a smozzicare lì un sì o un no secco. Si sentiva sminuita e temeva di non risultare abbastanza interessante rispondendo solo sì o solo no. Allora aveva elaborato tutta una serie di perifrasi, allo scopo di impreziosire l’eloquio e, di seguito, la sua peraltro già amabile personcina. Non è il tipo di donna che si sposerà presto, la nostra Maddalena, ma se dovesse arrivare al cospetto del prete per rispondere alla fatidica domanda “Vuoi tu Maddalena come-ti-chiami prendere il qui presente cristo come-si-chiama come tuo sposo?” la potreste tranquillamente sentire rispondere “puoi scommetterci!” oppure “non ho alcuna intenzione di oppormi!”
Ordinarono birra, a parte Maddalena che, dopo avere vivisezionato il menu, saltando da una focaccia alle verdure ad una coppa con gelato di frutta, da uno spumante dolce ad un crostone al prosciutto, si fece portare un vero Irish coffee.
“E’ sempre così pieno qui?” chiese Meri a Walter, che passava per il conoscitore del locale.
“Beh, sì. Almeno… le altre due volte che ci sono stato era così. Una sera abbiamo persino bevuto al bancone, non c’è stato verso di sedersi!”  disse Walter, stringendo le sue dita a grappolo verso l’alto per mostrare quanta gente e quanto stretta ci fosse stata in quell’occasione.
“Ecco, io se rinasco, giuro, metto su un localino come questo” fece Claudio senza girarsi del tutto, ma solo di qualche grado e solo per l’attimo necessario ad una pescata dal coccio delle patate fritte. “Conosci un sacco di gente, lavori dalle nove di sera in poi, e fai un sacco di soldi. Altro che studiare fino a trent’anni!”. A dirla tutta, non c’era cosa che Claudio non trovasse gradevole e conveniente fare, ovviamente, se fosse rinato. Aveva fatto epoca quella volta che si era accalorato a sostegno del fatto che avrebbe preferito spalare carbone in una miniera, piuttosto che subire una coercizione allo studio per arrivare, a dispetto dei santi, a quel benedetto pezzo di carta – qui si esibiva in una voce cavernosa che avrebbe dovuto evocare, secondo l’intento di Claudio, suo padre – studio che sarebbe servito, al massimo, a renderti capace di usare vocaboli come coercizione. Questo secondo lui, e se proprio ti andava di lusso.
Finalmente la chiacchierata si stava incanalando sui binari di quello la gente fa o vorrebbe fare. Maddalena si preparò a colpire, mentre il livello d’attenzione di Meri sprofondò praticamente in un pozzo artesiano.
Maddalena fece scorrere un altro po’ di parole cercando di commentare sagacemente ogni argomento per dimostrare l’ampiezza sconsiderata dei suoi interessi, in primo luogo, per prepararsi il terreno e poi per non dare nell’occhio.
“Ho saputo da Meri che sei una specie di pony-express della pizza” disse Maddalena nemmeno guardando Walter, anzi riservando la sua attenzione massima ai quel-che-erano Crew e alla loro performance, anche se – era ormai chiaro a tutti – non ci stava perdendo la testa per loro.
Parlò proprio di pony-express, nel tentativo di risollevare la professione ai suoi stessi occhi e finse disinteresse, prima alla sua stessa domanda e poi alla risposta.
Walter stava bevendo la sua rossa doppio malto, ebbe appena il tempo di sconcertarsi che Claudio, parve risvegliarsi e, senza dare peso alla cosa, precisò: “Macché, quello è Nicola, è un altro che viene in palestra…”.
“Ah, no no” si schermì Walter, appena posò il bicchiere, gesticolò anche con le mani per dire magari, ma Maddalena non seppe distinguere nel gesto niente di diverso da un ci mancherebbe!
“Magari!” disse Walter, “lo studio non mi lascia proprio il tempo”.
“Ringrazia il cielo, no?” disse Maddalena.
Walter si strinse nelle spalle e si guardò in giro alla ricerca dell’ispirazione: “Ti dirò… non mi dispiacerebbe essere un po’ più indipendente. A ventisette anni, dover chiedere ancora i soldi ai miei non è una bella cosa…”.
“Eh, dillo a me!” fece Meri in un rigurgito di attenzione. Con l’unghia, intanto, stava impegnandosi per tirare via l’etichetta dalla sua bottiglia di birra: “Non avevo nemmeno vent’anni quando sono entrata in quel buco, ma per lo meno ho sempre fatto come volevo, senza andare a pigolare dei soldi in giro”.
Per un attimo le loro vite parvero dipendere dalla buona riuscita del lavoretto di Meri. Tutti la fissarono mentre teneva l’etichetta con una mano e, con l’altra, roteava lentamente la bottiglia, reggendola per il collo e separandola per sempre dall’esplicazione del suo contenuto.
“Ad ogni modo, io avevo capito che tu portassi queste pizze, scusa” disse Meri, stendendo l’etichetta sul piano del tavolo e spiaccicandola con dei colpetti delle dita per spingere via l’aria da sotto.
“Scusa che? Nulla!” fece Walter.
“Perché, ti piacerebbe come lavoro?” buttò là Maddalena.
“Perché no? Tutto il giorno all’aria aperta, pochi problemi e responsabilità zero. Una pacchia! Vero Claudio? Claudio?”
“Sì. Ah, sì sì. Beh, penso di sì, almeno… Nicola dice di trovarsi bene, a parte che deve usare la mascherina per lo smog”.
“Tanto non serve a nulla” disse Meri. “Se davvero volessi una maschera anti-smog funzionante, dovresti usare quelle in dotazione all’esercito. L’ho letto su una rivista”.
Conosci una donna che legge una rivista e avrai una donna con mille certezze. E se c’è una sola schifosissima cosa che aiuta nella vita è: avere delle certezze! Anche quando sono sbagliate.
“Meglio che nulla sarà, no?” bofonchiò Claudio.
“No, se non funziona, è meglio nulla!” disse Meri, prima tirando su e poi stendendo di nuovo l’etichetta sul tavolo, in progressione, da una parte all’altra, per evitare che si formassero quelle fastidiose bollicine d’aria. Era necessario che l’etichetta aderisse perfettamente al tavolo, e non chiedete perché.
Maddalena piegò leggermente la testa verso destra, si mise di tre quarti rispetto al tavolo ed accavallò le gambe; aveva tutta l’intenzione di caricare al massimo la domanda successiva: “Ma davvero ti metteresti quella casacca giallo fosforescente per consegnare le pizze in giro, come fanno questi pivellini di sedici anni per pagarsi la vacanza a Rimini?”
Cercava di mantenersi il più possibile tedesca, ma temeva che dalla sua voce trasparisse il tono acido con il quale avrebbe voluto accompagnare quelle parole.
“Ma sì! Voglio dire, se pagano bene, che male c’è? Chissà quante pizze potrei scroccare e quante mance tirerei su. Io gli lascio sempre quelle due o tre euro quando mi faccio portare le pizze a casa” disse Walter.
“Ma… davvero?” chiese Maddalena, e non si riferiva alle mance. In quell’attimo era il boia che decideva di dare una possibilità al condannato a morte: praticamente gli stava chiedendo se voleva che lei gli abbattesse la scure tra capo e collo e gli staccasse via di netto quella stupida testa. Se lo voleva davvero.
Claudio smise per qualche secondo di sgranocchiare e di canterellare, Meri si mise a fissare la testa pelosa e zannuta di un cinghiale che usciva dalla parete di fronte – una roba decisamente fuori luogo e, di sicuro, mai appartenuta a nessuna rockstar – i fratelli poveri di Miguel Bosé, dal palco, sprofondarono di botto in un universo parallelo e, al tavolo dei nostri, nessuno poteva più sentirli. Walter realizzò di essere l’epicentro di quell’inverosimile buco di silenzio e sapeva che tutto sarebbe rimasto così – ovattato e lento, in un quasi fermo immagine – finché non si fosse deciso a dire la sua.
“Cristoddio, no!” disse, ridando il via al mondo. “Non penso che lo farei veramente! Troppo stress, sempre per strada, sempre a corsa, poi lo smog, la mascherina... no, scherzavo. Dicevo così… tanto per dire…”.
“Che mi frega, io lo farei!” disse Claudio e riprese a canticchiare, assieme ai quel-che-cazzo-fossero Crew, di come la fottutissima televisione avesse ucciso tutte quante le stelle della radio.
Beh, che Claudio lo facesse. Non gliene fregava di meno, a Maddalena. E, sembrava, poco anche a Meri. Quello che contava era che Walter non portasse proprio un bel niente a nessun domicilio creato e, tantomeno, si era azzardato a farlo in passato. In più, c’erano ottime possibilità che non lo avrebbe voluto fare in futuro.
“Ne chiediamo delle altre?” disse Meri, spostando lo sguardo dal muso del cinghiale al desolante vuoto nel cestino delle patatine.
“Uhm, sì” e questo era Claudio.
Walter, che - a questo punto era palese - non portava pizze a domicilio, chiese a Maddalena cosa facesse lei nella vita.
“Oh… io lavoro in uno studio” disse lei.
Walter, che non aveva mai portato pizze a domicilio in passato, chiese a Maddalena di cosa di preciso si occupasse nello studio.
“Gestione di pratiche legali e quant’altro” disse lei.
Walter, che molto probabilmente non avrebbe mai in futuro portato pizze a domicilio, le chiese se le piacesse gestire quelle pratiche e tutto il resto.
“Non ci perdo la testa” disse lei.
Sì, Walter, ora che Maddalena lo valutava con più serenità, sembrava carino: aveva una voce da speaker della radio, aveva capelli puliti ed era rasato di fresco. Indossava una magnifica camicia bianca stirata alla perfezione e aveva delle mani assai curate per essere un uomo. Con quelle mani poteva certo permettersi di gesticolare, anzi avrebbe senz’altro dovuto imparare il linguaggio dei sordomuti e magari comunicare solo con quello, viste le mani!
Certo però c’era ancora qualcosa che Maddalena non riusciva a mandare giù, c’era ancora un tarlo che la rosicchiava dentro.
E credette di capire cos’era quando si convinse che Walter le aveva detto ciò che lei avrebbe voluto sentire e, quand’anche non fosse andata proprio così – siamo onesti – il ragazzo ci aveva scherzato su con tanta, troppa, leggerezza.
Forse si sbagliava, forse non era questo che la rodeva. Forse la disturbava soltanto il fatto che Walter, ipotizzando di cacciarsi in uno di quei giubbotti fosforescenti per la domiciliazione delle pizze, potesse permettersi di dire delle cose, così… tanto per dire. E, per di più, di sabato sera!
I quel-che-gli-pareva Crew attaccarono Black Betty e Claudio si girò verso gli altri:
“Chi la cantava… chi la cantava questa?”

4 commenti:

  1. Oh, che bello pezzo, bei personaggi, bel localino, bello bello.

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  2. Un po lungo rispetto il tuo stile ma bello! Hai colto nel segno quando ci mettiamo in testa che una cosa è come l abbiamo immaginata, non ci arrendiamo neanche davanti all evidenza.

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Ma dici a me? Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui...

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